A FFA I CAMPANILI (FARE I “CAMPANILI”)
continuiamo con i vecchi giochi: giochemo a fa i campanili! o come dicevano quelli dopo di noi a sparà co ‘o carburru. Cominciamo con l’etimologia del gioco: quando si lancia qualcosa in alto, l’espressione moriconese è: “Ammazza’ óh! Va che campanile che ha fattu!”
Innanzi tutto, è bene sapere che prima ed anche qualche anno dopo la seconda guerra mondiale, la saldatura del ferro veniva effettuata con la fiamma ad acetilene, che veniva prodotta in loco: sciogliendo una barretta di carburo ( ‘o carburru) nell’acqua dentro un recipiente a tenuta stagna ed alta resistenza alla pressione (bombola); il gas che se ne ottiene è altamente infiammabile ed ha una grande resa. Ancora oggi, in alcuni casi, si usano cannelli ad acetilene per tagliare metalli. Mi pare si chiami ossitaglio. Tutto questo discorso, non per fare il chmico, che tra l’altro sono stato sempre scarso in chimica, ma per poter raccontare come ci procuravamo il materiale per questo gioco.
Materiale occorrente:
• un barattoletto vecchio (picchirittu) di conserva, di maccarello o quant’altro;
• un pezzetto di carburo;
• un pezzo di canna secca, non troppo grande né troppo corto;
• fiammiferi.
Al barattoletto veniva praticato un buco sul fondo; più il buco era stretto, più la spinta era alta; però, ritardava l’esplosione.
Il gioco:
Scelta la zona dove fare la gara, che per noi era tra il Parco della Rimembranza e u Mascaró¹, si poggiava u picchirittu sul terreno dalla parte aperta e si pigiava per segnare la circonferenza; si procurava di scavare il più precisamente possibile, in modo che il barattoletto entrasse nella buchetta per un paio di centimetri poi, si posava un pezzetto di carburo nel centro della buchetta, si ricopriva col barattoletto procurando che non ci fosse nessun spiraglio. A tale scopo, ci si impegnava rinforzare il bordo con un supporto di fango. Si preparava la miccia (una stecca della canna spaccata per l’uopo ed un fiammifero) e si faceva sgocciolare un po’ d’acqua dentro il foro, si aspettava alcuni secondi e si accendeva la canna, lunga almeno una settantina di centimetri, che avvicinandola al foro, procurava l’innesco ed il barattoletto partiva con una bella esplosione.
In verità, l’operazione precisa era che uno faceva sgocciolare l’acqua nel buco e lo tappava col dito e quando sentiva che la pressione era giusta, faceva cenno all’altro che avvicinava la fiammella subito appena il primo si fosse allontanato.
¹)Per inciso, u Mascaró si trovava, allora, dove ora c’è la banca ed il forno Molinari.
E ‘o carburru? La materia prima per ffa i campanili come ce la procuravamo? Facevamo vere e proprie spedizioni per procurarselo: si faceva il giro dei “ferrari”, i maniscalchi e qualche locale che si sapeva che in alcuni locali avevano ancora i lumi a carburo. Succedeva che quando svuotavano i recipienti per rinnovare la miscela, tra il deposito restasse qualche residuo di carburo ancora attivo. C’era poi chi era più fortunato, come me, i miei cugini e Vittorio d’Orfeo (zio Merino e Mastr’Orfeo facevano i ferrari), e qualche altro che il carburo ce lo potevamo procurare.
Chi riusciva di fare il campanile più alto aveva vinto.
Certi giorni era un continuo “bombardamento!”, poiché per certi versi la moda è sempre quella che determina alcune azioni: se va di moda andare al fosso in cerca di sassi strani, tutti al fosso; giocare da briganti e da soldati, tutti a fare lo stesso gioco! E fortuna per noi che ancora non c’era la Televisione!
Comunque, ripensandoci bene, facevamo dei giochi veramente assurdi e pericolosi!
Ogni volta che parlo di questo gioco, mi ritorna in mente Baldovino Arioni, eravamo coetanei. È morto qualche anno fa. Non so chi se lo ricorda: ultimamente, ritornato dalla Germania con la moglie, ha abitato per diverso tempo sopra il bar Frappetta (ora Bar..collando) poi ha comprato una casa in via G.A. de Vecchis. Comunque, Baldovino s’era inventato di aggiungere miccette di residuati bellici al carburo, sostituendo, inoltre, la canna con una miccetta che fuorisciva dal buco così che faceva tutto da solo, dando fuoco alla miccetta che con un certo ritardo procurava l’innesco.Il fatto dei residuati bellici, meriterebbe un capitolo a sé…. chissa!… Orbene, al terzo campanile, che in effetti erano molto più alti dei nostri, qualcosa andò storto e l’esplosione avvenne repentina, ricoprendolo di liquido infiammato, ustionandolo gravemente. Lo portammo subito a casa del medico che stava, allora, in Piazza Nazionale (quella che ora è di Aldo Bravi [Pummidoro]) che gli fece subito le prime medicazioni; fu costretto a stare in casa, fasciato per parecchie settimane e la madre che doveva sventolarlo con la ventola dei fornelli.
La ventola dei fornelli era una cosa grandiosa: due stecche doppie poste orizzontalmente, tenevano insieme un certo numero di penne d’ala,e coda, di gallina, affiancate. Il tutto con un manico centrale.
Anche se per certi versi ci risveglia un po’ di tristezza, è però bello ricordare i tempi di spensieratezza! Tempi che bastavano una frezza, un bastone e una leppa per passare una giornata di giochi.