Dizionario Moriconese - Italiano. Usi e Costumi

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picculu

1. ag.  Piccolo  2. piròlo. (che a noi interessa) è un  legnetto appuntito da un lato, usato come appendino o per alcuni vecchi ..giochi come “a picculu”, “a caciufriscu”. (Il pirolo (chiamato anche bischero, cavicchio, chiave o caviglia) è un componente di alcuni strumenti musicali cordofoni che ne permette l’accordatura. Si tratta di una spina di legno inserita in una sede conica, girevole e mantenuta ferma da un attrito elevato, sulla quale si avvolge la corda.)  3. gioco di gruppo

A PICCULU

A Picculu era uno dei giochi più pericolosi e si doveva giocare dove c’era molto spazio e non frequentato da persone.
L’occorrente: “u picculu”, un bastone (per ogni giocatore), ,una leppa e dei bandoni o cartoni robusti da usare come scudi.
U picculu: un pezzo di legno di circa 20cm di altezza e del diametro non meno di 3cm, di forma conica e la base ben spianata, che chiameremo birillo.
I bastuni: il più dritti possibile e dal diametro non inferiore a quello del birillo, lunghi da 50 a 80cm.
La leppa: non obbligatoriamente di legno (credo che originariamente era la stessa che si usava per il gioco della leppa. Ecco il perché del nome), ma si poteva usare un osso di pesca, un tassello di legno o altro, purché non troppo pesante per la pericolosità. In verità, la leppa era più indicata per avere due punte ed era più precisa e veloce.
I banduni: Riquadri di latta (normalmente secchiacci o altro appiattiti) o cartone spesso ricavato da scatoloni vecchi, per “dà ‘mbicciu”  cioè ripararsi dalla leppa al momento opportuno.
I partiti di solito erano: a chi non ce tè; a chi non stà in linea; a chi scardèlla e a chi fa a cavalletta.
Il gioco si svolge, dopo aver sorteggiato tra i giocatori, che non dovevano essere meno di tre, chi sta sotto, cioè il raccoglitore, così: si traccia una linea che non deve essere superata al momento del lancio e a distanza di circa cinque metri, si spiana il terreno per far reggere il birillo in piedi; il lanciatore deve colpire “u picculu” , cioè il birillo, il più in basso possibile, per farlo balzare via e non rotolare, col bastone scagliato trasversalmente, “pé trastu” come si dice da noi. Il raccoglitore deve essere allineato parallelamente alla linea di demarcazione, col birillo. Colpito il bersaglio, il raccoglitore corre per raccogliere e ricollocare il birillo mentre il lanciatore si precipita a
recuperare il bastone. Se quando il raccoglitore ha ricollocato il birillo, il lanciatore non fosse ancora rientrato dietro la linea di demarcazione, gli lancia la leppa e se lo colpisse, ci sarebbe lo scambio del ruolo.
I giocatori che non dovessero colpire il birillo, si terranno momentaneamente fuori gioco fino a quando l’ultimo giocatore non ha effettuato il tiro. Finito il turno dei lanci, i giocatori che erano rimasti fuori si schiereranno sulla riga di demarcazione, proteggendosi a mo di scudo coi bandoni, dal tiro della leppa che effettuerà il raccoglitore. Questa operazione si chiama “dà ‘mbicciu” e dà mbicciu, significa impedire.
Quello che verrà colpito su qualsiasi parte del corpo, alla prossima mano, sarà il raccoglitore. È ovvio che chi tira la leppa deve essere veloce nel fare le finte di lancio per spiazzare chi sta a dà ‘mbicciu.
Se non ci sarà nessun escluso dai tiri, allora tutti i giocatori “dau ‘mbicciu”: finita la partita.

Il bello di questo gioco è quando “u picculu”  viene appena appena sfiorato e cade vicinissimo alla base, mentre il bastone vola lontano; per cui il raccoglitore si trova avvantaggiato ed il tiratore, per rientrare deve fare i cosi detti salti mortali per non essere colpito.
Questo era un gioco veramente pericoloso, per via che il bastone, inavvertitamente poteva sfuggire di mano nella direzione sbagliata e procurare guai seri, peggio ancora “u picculu”, che non poteva essere controllato, quando veniva colpito. Mi ricordo come fosse ora, Artemino venne a giocare con un bastone nodoso ed il birillo, “u picculu”, evidentemente colpito di lato da uno dei nodi, invece di partire in avanti, schizzò via verso sinistra ed andò a finire vicina alla casa di Caterinèlla, che non la finiva più, giustamente, di urlare come un’oca spennata viva! Per la cronaca, Caterinèlla abitava (ora credo sia del figlio Carlo Alberto) nella costruzione dove attualmente abita Eleonora la madre di Augusto Forti. Allora, non c’era né la casa di Narducci tantomeno quella dei D’Achille

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